Zagreb!
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Un giorno Stefano Salis, giornalista del Sole 24ore, volendo organizzare una mostra di belle copertine chiese a grafici, grafiche e studiosi di scegliere ciascuno una copertina dell’anno passato, la più bella fra le più belle; chiamò la mostra Buona la prima e la mostra si tenne a Bologna, più o meno durante ArteLibro. L’anno dopo, il 2014, si rifece; i libri da scegliere passarono a tre. Si doveva, come l’anno prima, dare una motivazione, un perché quelle tre copertine e non altre.
Fra gli augusti grafici e le auguste grafiche e gli augusti critici c’ero anche io, nella edizione numero 1 e nella edizione numero 2.
Desiderio di Salis era che la mostra girasse all’estero, possibilmente negli Istituti di Cultura Italiana. Così, per l’edizione 2, fu.
Non so dove e non so chi prima, ma il 16 gennaio 2015 la mostra è stata presentata a Zagabria, da me, ch’ero in giuria nell’edizione 1 e nell’edizione 2, come dicevo su.
Zagreb! Anche Salis sarebbe dovuto venire, ma non potè.
Norma vuole in questi casi che l’IIC ti paghi un volo sino a destinazione, ma: Torino Zagabria sono DAVVERO mal collegate.
Aspettando nuove dall’Istituto, nella persona della deliziosa e efficiente Ružica Babić, marito ed io guardammo come sarebbe stato.
Ore d’attesa in aereoporto in città sconosciute (Parigi, tipo), trasferimenti scomodissimi, costi folli per lo Stato.
Controproposi: vengo in macchina.
Dissi: viene anche mio marito, così ci alterniamo alla guida e ne approfittiamo per fare un gioro in uno stato dove non siamo mai stati.
Dissero: wow, sollevati di non dover combinare tutte cose complicate e costose.
Dissi: quanto fa la nostra parte di marito per la stanza? Dissero: è compresa. Dissi a marito: yuppii!
Così partimmo. Tappa all’andata a Trieste, AirBnb per dormire. Città vista poche ore serali stanchi ma in tempo per prendere uno Spritz al Caffè San Marco, trovato inaspettato bellissimo ooooh. Cena pesssima da posto scelto male per stanchezza, pace.
Nanna, partenza.
La sto prendendo alla lontana, c’è un punto a cui voglio arrivare che non so se sarò capace a raccontarlo davvero.
In breve: l’albergo era affacciato sulla piazza centrale di Zagabria, fu a giudicare dalla facciata molto bello negli anni ’50 e forse ’70, forse addirittura ’30 ma di quella bellezza non resta più niente. Com’è capitato in tanta parte dei paesi ritornati in Occidente dopo anni di dittatura, gli hotel sono stati i primi ad essere comprati o comunque adeguati ad un orrido gusto standard internazionale che vuole stanze uguali dagli Urali al Perù. ‘na schifezza. Poi, certo, tutto confortevole e gentile, ma Zagabria era solo immaginabile, fuori dai vetri.
Come sempre abbiamo macinato chilometri su chilometri pure di una città dal centro abbstanza piccolo, ma non sappiamo stare fermi nelle città nuove.
L’IIC è in una via subito a ridosso della piazza centrale in una ex sede di una banca. Hall magnifica, tutta un marmo giallo e un bronzo brunito, ancora si sente in ticchettio delle calcolatrici, in basso, pare ancora restino le cassette di sicurezza, il caveau.
Per farla breve, combiniamo con Ružica -ci eravamo visti già a Roma, a dicembre, alla mostra dell’editoria, dove avevamo concordato come e cosa fare-; c’è un’intervista da registrare per la tv. Una troupe di 4 persone, la giornalista, gentile, preparata (sapeva cosa chiedeva! Incredibile per l’Italia), mi dice di guardare lei, Ružica mi tradurrà le sue domande. Io fedele alla consegna faccio tutta l’intervista bloccato negli occhi della giornalista anche quando Ružica traduce, dimentico totalmente di una cosa chiamata montaggio. Ok, fatto. Il giorno dopo -intanto noi s’era andati di qua e di là e visto tanti musei -bisogna sempre cominciare dai musei ci dicevamo, perché è lì che si capisce cosa una città, una nazione (Zagabria è capitale) vuole comunicare di sè, in che modo, con quali programmi iconografici. Non solo e non tanto le opere, ma l’allestimento, le didascalie, la retorica scelta), il giorno dopo dicevo -non è vero: fu lo stesso giorno; solo che doveva essere il giorno prima; c’eravamo capicollati da Trieste per arrivare in tempo e una volta arrivati la desolatissima Ružica ci disse: spostata a domani; quindi: poche ore dopo l’interrvista eccomi lì.
S’era combinato, Ružica ed io, che io avrei parlato e lei tradotto, quindi m’immaginavo di riordinare i pensieri mentre Ružica avrebbe parlato croato. Un secondo prima contrordine: si farà in italiano; anzi: io, la farò in italiano; da solo; senza interruzzione; senza scaletta: yuppii.
Me la sono cavata e tutti contenti e silenzio per quaranta minuti mentre parlavo di dissoluzione delle collane editoriali, di one-shot, di reader, di smaterializzazione, di grafici, di best-seller, di investimenti, di storia dell’editoria, di libri da autogrill e di tirature limitate. Seguirono applausi e chiacchiere intorno ai libri: la folla festante compulsava i libri animati da novello interesse.
S’andò a cena.
Ecco, siamo finalmente al punto.
Cena istituzionale, la Direttrice dell’IIC, Maria Sica, Ružica e una signora tanto gentile e sorridente, una traduttrice dall’italiano di cui aimé non ricordo il nome.
È su di lei che ora va posta l’attenzione.
Cena lunga dal servizio infinito (tanto che uscendo chiesi a marito cosa avessimo mangiato e non ci potevo credere che avevamo preso una portata sola avrei creduto almeno tre), vino molto buono, chiacchiere, sorrisi.
Io sono lì come quello che per quaranta minuti ha parlato di editoria e che tutti sono stati silenziosi ad ascoltare. Mi sono conquistato una credibilità che i miei vestiti cerano di distruggere invano -neanche le scarpe rosa ce la fanno. Ma cosa fa e cosa fa. Dico, di passaggio, che ho appena pubblicato un libro.
La signora traduttrice ascolta attenta, io sono sempre in quell’aura lì, dello studioso. E, mi dice la direttrice, il suo libro parla sempre di editoria?
No, dico, e inizio a raccontare.
Un giorno, dico, Stefano e io decidemmo di sposarci. Presa questa decisione decidemmo di renderla pubblica, per farne un gesto politico.
Ecco, qui sono passato già in una cornice diversa: lo studioso dell’editoria che è anche impegnato politicamente, il livello è altissimo.
Facemmo un video, le tre signore ascoltavano attente ma come sempre si fa in una cena.
Il video ebbe taaaante visualizzazioni e fu così che un giorno, dissi, ci telefonò Fabio Fazio per invitarci al Festival di Sanremo.
E lì; lì la signora traduttrice portò le mani alla bocca aperta in un sorriso gigante, gli occhi un poco lucidi tradivano sorpresa, gioia, confusione, stupore: -Eravate voi!
(oh come si fa a rendere quel “voi”? Fu un “voi” che nella sua emissione raccolse tutta la memoria di quel momento di un anno prima a Sanremo, lei che forse lo vide da Zagabria, stupita per quell’apparizione incongrua, contenta direi dalla reazione e che improvvisamnete, come un precipitare dallo spazio tempo, ora quei due che erano là nella televisione erano lì alla tavola dove si parlava di editoria, di Italia, di libri e letteratura).
Eravate voi. C’era forse anche un riconoscere che i nostri volti le erano sembrati, ecco, per quello, ecco, ecco perché mi sembrarono familiari, ecco, c’era come due mondi che collidevano, noi, noi lì eravamo quelli, ecco, quell’imperfetto raccontava da solo tutto quello che stava accadendo; allora; io quelle mani, quel sorriso, quello stupore, quel divertimento soprattutto, me li ricorderò a lungo. Eravamo noi.
Poi noi siam timidi e sempre in questi casi svicoliamo e presto la cosa fu dimenticata sostituita da un ottimo chees-cake.