Non starò a raccontarvi delle storie

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Contro le unioni civili

unioni incivili

Love song / postille. 1

Sul wall di fb quest’estate -oltre a tutte le cose delle vacanza mari monti laghi e città- ho letto cose agghiaccianti sui drammatici esodi dall’Africa all’Europa (io non banno mai nessuno, specialmente se non la pensa come me, cerco così di non avere sul monitor un mondo troppo simile a come sono io; ma quest’estate ho bannato almeno tre o quattro persone che scrivevano cose intollerabili, incitazioni all’odio, promesse di morte; mi sono molto chiesto se continuare a poterle leggere non fosse invece un sano memento, ma poi, come capita, ho preferito non sapere, o meglio: che il mio sapere non venisse confermato a ogni piè sospinto), e ho letto una specie di parossistica cronaca di come evolvessero le cose riguardo all’ipotesi che il governo legiferasse quest’autunno in merito alle cosiddette unioni civili, ora derubricate a grottesce “formazioni sociali specifiche”. Ogni giorno c’era il conteggio di un ipotetico voto in meno, di un ipotetico voto in più; una dichiarazione scandalosa, un commento favorevole, tutto nell’attesa di una parola definitiva, certa.

Non interloquire -e cosa pensassi era chiaro da sempre, chi anche non avesse letto il mio libro trovava un bel riassunto nell’immagine qui sopra, che torna periodicamente sulla mia bacheca da più di tre anni- permette di vedere meglio, ti perdi meno in quisquiglie.

La vicenda del disegno di legge sulle unioni civili è umiliante, ma tutte le colpe non stanno in chi vuole che solo le unioni eterosessuali siano riconosciute e tutelate dallo stato -loro, i cattivi, fanno il loro sporco e oscurantista mestiere, hanno agito bene e in modo efficace- ma di tutte quelle persone che hanno potuto immaginare che la discriminazione che questo Stato fa in base all’orientamento sessuale fosse superabile richiedendo una attenuazione di quella discriminazione, che cioè fosse possibile passare attraverso dei gradi. Molte persone spigandomi il macchiavellico disegno mi hanno detto facciamo finta di volere le unioni civili, ma in realtà puntiamo al matrimonio e le useremo come un grimaldello.

A me pare che singole persone e movimenti, associazioni e gruppi che hanno cercato le unioni civili hanno consegnato al nemico -i nemici esistono, se uno ti riduce in minorità è un nemico- l’arma più formidabile che potessero desiderare: la percezione di sé come minori, in alleanza perfetta col proprio nemico. Hanno anche dato un ulteriore colpo all’idea della politica come cosa onesta, chiara, il nerbo dell’esistenza civile, adeguandosi all’idea italiana dell’arroganza di chi crede che sia il fine l’importante, e mai le persone e i modi per perseguirlo, nel disprezzo, che unisce tutti i populismi, dell’intelligenza delle singole persone.

L’ha finalmente detto pure Rodotà in questi giorni, santo laico tanto seguito quanto in ritardo. Perché non sono le “formazioni sociali specifiche” il problema, il problema è dire ok voi non ci considerate come voi e va beh, però almeno fateci un qualcosa un fiocchetto un timbrino che ci dia qualche diritto pure a noi, dài.

Storicamente forse questo era giustificabile vent’anni fa, trenta, và, ma oggi? Dopo la sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti? Dopo che la Spagna festeggia i 10 anni del matrimonio egualitario, matrimonio ormai senza aggettivi; dopo che in Francia, giusto al di là dei confini, son due anni? Dopo tutto quello che è stato in questi ultimi anni? Ma di che cultura si nutre chi si trova a pensare che non tutta la libertà alla quale ha diritto gli sia dovuta, ma solo una parte, ma solo con dei limiti? Dove ha formato la coscienza di sé? Su quali libri? Su quali film? Su quali serie tv? Che cosa ha visto, letto, ascoltato in questi anni? L’Italia è un Paese asfittico che non riesce a uscire dal Novecento, ma questa è una colpa, non una condizione data, è una responsabilità, non un’attenuante.

Ho provato a sospendere il giudizio, e sono stato a leggere e a non parlare, ma mi arrendo; mi è assolutamente incomprensibile il desiderare qualcosa che ribadisca in termini formali e sostanziali la minorità in cui la storia ci ha a lungo costretti.

Leggo che si dovrebbe accettare un percorso, che prima si dovrebbe accettare di contribuire ad erigere il recinto e poi lavorare per distruggerlo, che così s’è fatto ovunque. Ma anche sorvolando sull’aberrazione logica che vuole l’affermazione di sé come aderente all’immagine che il nemico ha disegnato per raggiungere la possibilità di smentire quel disegno, c’è una strana idea del tempo e dello spazio, ferma a decenni fa, quando le comunicazioni erano lente, le culture distanti. Ciò che succede altrove, ora, è come succedesse qui. Il passaggio attraverso la progressiva conquista di diritti delle minoranze è già stato consumato altrove e vale anche per noi, la riserva territoriale è ridicola e sconta un certo razzismo nazionalista, sconcertante.

Non capisco come si possa ancora parlare di diritti gay, quando è così evidente che i diritti non sono etero o gay, ma sono invece la sostanza e la forma che misura il grado di civiltà di un paese e che la discriminazione, in questo caso in base all’orientamento sessuale, non schiaccia solo chi sembra esserne la vittima, ma tutte le persone, dalla prima all’ultima, dai neonati ai morenti: la limitazione delle libertà non è mai di alcuni, è sempre e solo di tutte le persone. Per questo, se non è incomprensibile, è di certo triste che la battaglia per un matrimonio che non sia fondato sulla discriminazione non sia assunta, e fatta propria, da tutte le persone in blocco, perché nel momento in cui beneficiamo di una libertà che è riservata solo a noi, abbiamo accettato di muoverci in un terreno i cui confini ci sono imposti e non è libertà, allora, neanche la nostra.

Nessuna argomentazione è possibile, nessun ragionamento deve essere più fatto, nessuna trattativa deve essere ritenuta pensabile.

Nel libro che ho scritto, a un certo punto chiedevo: Cosa c’entra la libertà con il matrimonio? Che alcuni sono liberi di sposarsi e altri no. È solo questo il nodo da sciogliere. Di questo parliamo, non di altro.

Le unioni civili -nome che è uno sberleffo a chi vogliono segregare-, quand’anche fossero approvate, scioglierebbero quel nodo? No, rimarrebbe tutto come ora: alcune persone potrebbero sposarsi, altre no. Ma lo scandalo, il mio scandalo, sarebbe che sarebbero state le persone che hanno lottato per avere le unioni civili ad essere le responsabili della persistenza di quel nodo, che sarebbe, a quel punto, ancora più strettamente serrato.

Io posso farlo e tu no; io non posso farlo e tu sì. Tutto il resto è fuffa, o triste arrendersi all’idea che il nemico ha costruito di noi.

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(Quest’estate mi sono concesso una vera vacanza: a partire dall’inizio di Luglio non sono più intervenuto su fb se non per postare i post estivi di FN o via Instagram se vedevo delle cose belle; non ho più commentato, non ho più condiviso, niente, me ne sono stato zitto; lykavo ogni tanto cose di amici. Seppure di nessuna importanza, sono anche io una figura pubblica, come noi tutti, nel momento in cui agiamo comunicativamente non in una stretta cerchia d’amici ma in un luogo pubblico, quale è fb. Così silenzi o parole, la loro presenza e/o assenza, sono comunicazione pure loro: il parlare, il tacere. Inoltre ho scritto un libro, dirigo un sito, sono pure stato in tv signora mia. Soprattutto nei social, ma pure a tavola con due amici, tacere è spesso più difficile che parlare; il chiasso delle parole si confonde, il silenzio interroga; ci sono delle aspettative in gioco, proprie, degli altri, e fa parte della contrattazione del proprio rapporto con chi ci ascolta il decidere se soddisfarle, se ignorarle, se cercare d’immaginarle. Per molti versi si è più inavvertiti se si fa chiasso -per i primi giorni; poi si sparisce. Fb è il maggior esempio di come la competenza non sia più merce spendibile, non solo non è richiesta, ma è considerata un segno d’arroganza il richiederla, il praticarla -mi ricordo quando avere un blog voleva dire suscitare il più possibile i commenti -non l’ho fatto mai. Si devono inventare nuove forme, molto pazienti, al momento lontanissime dall’essere formalizzate, per riuscire a uscire dal chiacchiericcio, per dare tempi più lunghi alle proprie parole. C’è chi è capace a pazientemente ripetere infinite volte le medesime cose, di nuovo e poi di nuovo, avendo ben chiaro quanto tutto ciò che si dica sia dimenticato nello spazio di un istante. Io questo non l’ho ancora imparato, mi vergogno anzi a ripetere le cose, come se ne dovessero dire sempre di nuove o se no tacere. Non so da dove questo mi venga. Non saprei neanche dire se il mio tacere abbia significato qualcosa o meno per qualcuno e se sia o meno stato avvertito. Ma non importa.)

 

 

 

 

 

 

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