Non starò a raccontarvi delle storie

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scomparso

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Non c’è data, ma è recente. La maglietta avrà una decina d’anni, ma questo non vuol dire. E’ che più o meno mi pare corrisponda a come sono adesso.
Mentre lo dico mi accorgo che non è vero: la barba -che certo la foto scurisce, è però ora sul mento evidentemente bianca, e anche le tempie lo sono. Le rughe non si vedono ma questo può essere il flash.
Volevo iniziare dicendo che così è più o meno come sono ora, e che non c’è più niente di come io penso di essere, ma neanche così sono. E’ come se io non riuscissi ad aggiornare.
Ci sono dati che mi sono quotidianamente presenti: lo so che non ho più i riccioli, anche se ancora, vicino a una fiamma, mi ritraggo; so che tutto il volto è più stanco, e che, anche se sono così tanto più felice ora di quando avevo quindici, venti, trent’anni, si è smarrito un qualcosa di gioioso, di leggero, che rintracciavo ancora sino a un po’ di anni fa.
Ma non mi riconosco.
Non posso dire che davvero io mi dispiaccia, ma io non ci sono più.
Non riesco a ricordarmi delle trasformazioni. Non riconoscere la mia faccia, comprendere che è mia e anche accettarla, ma non cadere nell’inganno che sia la mia, mi radica nel senso quotidiano che il passato non esista. Non c’è ordine, perché non c’è trasformazione.
Poi fa ridere questa specie di baffi posticci a forma di “M” di Motorola, o applicati sopra come per un identikit. Mi piacciono molto i fiammeggianti occhi neri che il flash mi regala. E nelle labbra c’è quel tentativo un po’ patetico di non essere completamente chiuse, che rispondono al mio timore annoso di avere le labbra che si rimpiccioliscono.

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