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31: RONALD FIRBANK / Capriccio

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Ronald Firbank, CAPRICCIO. Guanda 1984. Prosa contemporanea 31.

Ronald Firbank, Capriccio, Guanda, Milano 1984. 90 pp.; 20 cm x 12 cm; (Prosa contemporanea 31)

Titolo originale: Caprice

Traduzione di Carlo Brera

Brossura con bandelle

Alla copertina: Christian Schad, Il conte St. Genois d’Anneaucourt, 1927

Stampa: gennaio 1984

Stampatore: Edigraf s.n.c. S. Giuliano Milanese

© 1984 Ugo Guanda Editore S.p.A, via Daniele Manin 13, Milano

Lire: 12.000

Copia in ottimo stato.

[M. M.]

 

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Alla bandella di copertina:

Capriccio, del 1917, è il quinto romanzo di Ronald Firbank. Volendo racchiudere il racconto in una vicenda, lo si potrebbe riassumere così: la signorina Sinquier, figlia di un pastore, sogna di fuggire a Londra e di recitare; per ottenere questo, ruba i gioielli di famiglia e affitta un teatro, dove interpreta la parte di Giulietta; la sera della prima, però, la protagonista del romanzo cade in una botola e muore. Tuttavia, i singoli episodi e, addirittura, ciascuna frase non sono meno beffardi della trama. Firbank, da perfetto moralista, era un maestro nel gettare i personaggi allo sbaraglio, con l’aria di scherzare; e un virtuoso nel lasciare i lettori a bocca asciutta. Continuamente lo sorprendiamo nel gesto di eliminare tutto ciò che può dare soddisfazione al lettore usuale di romanzi. Il dandismo di Firbank è rarefatto fino al non-senso, «fino alla morte» – della frase, dell’eroe, o della eroina. Nulla, sembra dirci, di più ridicolo, di più comico dell’ansia di tragedia, ovvero di teatro: sia che questo desiderio si configuri come fantasticheria, cioè come perdizione di sé dietro qualcosa di irreale; sia che si configuri come revérie, cioè come riconquista di un se stesso perduto. «L’opera di Firbank» scrisse Edmund Wilson «appartiene alla scuola della comedy», che va da Ben Jonson a Peacock ad Aldous Huxley. «Gli autentici prodotti di questa scuola sono l’esatto contrario dello humour inglese, ilare e cordiale: si tratta di un genere raffinato e freddamente raziocinante, che non ammette quasi mai idealismi di sorta» – un genere di humour che consente a Firbank di figurare a pieno titolo in una collana di «prosa contemporanea», in cui l’idea di contemporaneità è opposta a quella di «attualità dei classici», laddove ogni autore diventa buono per tutti gli usi. Firbank non ha bisogno di attestazioni riguardo ad una ambiguità dei suoi testi, e ciò che troviamo nei suoi racconti di «contemporaneo» è la sua operatività attuale, quell’unico, tanto elusivo quanto fortissimo modo in cui ci chiede di essere ascoltato.

 

 

Alla bandella della quarta di copertina:

Nato a Londra nel 1886 da una famiglia dell’alta borghesia (suo padre era deputato), Ronald Firbank si dimostrò fin dall’inizio introverso e timidissimo, tanto che dovette essere istruito privatamente. Proseguì poi gli studi a Cambridge dove, estraneo alle attività del college, cominciò a scrivere. Risale a questo periodo la sua conversione al cattolicesimo e il suo interesse per le scienze occulte. Alla morte del padre, il testamento rivelò che il patrimonio familiare era pressoché dissolto, ma ciò non impedì al giovane scrittore di intraprendere numerosi viaggi in paesi esotici e di condurre una vita dispendiosa nei circoli più esclusivi della capitale, dove era considerato un eccentrico di innegabile talento. Morì a Roma nel 1926 in una camera d’albergo, durante uno dei suoi viaggi. Della sua opera, composta prevalentemente di racconti lunghi e romanzi brevi, ricordiamo i titoli apparsi in traduzione italiana: Vanagloria (1962), II cardinale Pirelli, La principessa artificiale, Fuoco nero (1964), Inclinazioni (1966).

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