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Oświęcim Auschwitz

Un piccolo libriccino 11,2 x 11,2; rilegato; copertina in cartoncino; su tutta la copertina è incollato un foglio di carta d’argento, che il tempo ha un po’ opacizzato; sulla prima di copertina, lasciando a sinistra libera una banda d’argento di 3cm., una fotografia in bianco e nero, incollata sul piatto e girata a fasciare i tagli e il verso per un centimetro. La fotografia è scura, non si decifra facilmente: in primo piano, a occupare tutta la metà inferiore, il selciato di un pavimento, blocchi regolari di pietra; del bianco evidenza le fughe, forse della neve; nella metà superiore, a destra, delle linee nere fanno indovinare un cancello, oltre si legge una prospettiva, forse un muro di mattoni; i due terzi della metà superiore a sinistra sono interamente neri. È tutto in ombra. La copertina non riporta indicazione della casa editrice (il marchio, PMO, è stampato, senza indicazione di luogo, sulla terza di copertina, in basso a destra), o della curatela, solo, nell’angolo della fotografia in alto verso sinistra due parole, il titolo: Oświęcim Auschwitz; il titolo illumina di senso l’immagine.

Non è la fotografia in copertina a indirizzarci, né il titolo, ma sappiamo che probabilmente non troveremo un testo all’interno; sono le dimensioni, la forma quadrata a segnalarcelo. Esistono naturalmente libri quadrati, ma sono rari e rappresentano una forzatura all’abitudine secolare del rettangolo. A un occhio contemporaneo (la stampa, anche se non indicato, è probabilmente del 1965) la carta d’argento risulta spiazzante. Cambiamo il titolo, mettiamo un paesino francese, un castello senese, una fortezza sveva: immediatamente sapremmo di avere fra le mani un libriccino turistico, come spesso se ne vendono nei book-shop o più banalmente nei tabacchini dei luoghi turistici: una scelta di fotografie –prima dell’avvento dei selfie e di Instagram– da portare a casa, un souvenir; il titolo crea un’oscillazione di aspettative che, almeno ora, sembra irrisolvibile.

Il libro, con testo bilingue, polacco e inglese, chiarisce la propria natura al frontespizio: “Oświęcim Auschwitz [medesimo testo in polacco; ndr.] / Photographs sent to the competition arranged by Państwowe Muzeum and the Board of the ZBoWiD Section in Oświęcim”. Alla carta di guardia si legge: “W dwudziestą rocznicę oswobodzenia Oświęcimia przez Armię Radziecką / 27.1.1965”.

Il libro è un volume commemorativo del giorno in cui, vent’anni prima, le truppe sovietiche entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz, stampato in occasione di un concorso fotografico. C’è qualcosa che agli occhi contemporanei risulta frivolo e quasi imbarazzante, la carta d’argento, il concorso, la forma del librino; forse, col passare dei decenni e il formarsi di un codice, questi aspetti risultano disturbanti, ma, ribaltando la prospettiva, il problema delle forme e dei modi della rappresentazione dell’orrore dell’Olocausto trova qui una sua risposta, forse proprio nel non utilizzare alcune cautele ormai invalse nell’uso.

La grafica di copertina, il design del volume, l’impaginazione di testo e copertina, i testi, sono coralmente al servizio delle fotografie. Niente è gridato, sottolineato, evidenziato, se non dalla lineraità degli spazi e dall’equilibrio delle campiture, dallo stile piano e raggelante dei testi (di Kazimlerz Smalen).

Se a oltre settant’anni di distanza, consolidate ormai alcune linee guida, le difficoltà della rappresentazione dell’Olocausto sono semmai ribaltate nella ripetitività di immagini che sembrano fossilizzate dall’uso, questo librino, nella sua modestia e serietà rigorose, rappresenta un tassello importante nella costruzione di ciò che si riuscì, faticosamente, a comunicare riguardo l’orrore di cui nessuno voleva sapere.

Oswiecim Auschwitz; impaginazione e grafica di Jerzy Adam Brandhuber; testi di Kazimlerz Smalen; rilegato; 11,5 cm. x 11,5 cm.; 94 pag. ill. b/n; fotografie di: Tadeusz Szymanski, Tadeusz Iwaszko, Wieslaw Kielar, Riszard Krapek, Jerzy Frackiewcz, Adam Bujak, Henryk Makarewicz, Roman Wichrowski. PMO, [1965]

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