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Il rosa ironico di NORA EPHRON, di Giuliana Giulietti

Nora Ephron

Grazie Liala, a cura di Mariolina Bertini

con un ritratto di parola di Christel Martinod

5: Il rosa ironico di Nora Ephron: un omaggio

di Giuliana Giulietti

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Quando le sue quattro figlieNora, Delia, Amy, Hallie– le confidavano qualche dispiacere, Phoebe Walkind Ephron le consolava con questa semplice frase: È tutto materiale. Sceneggiatrice insieme al marito, Henry Ephron, di film di successo (Follie dell’anno, Papà Gambalunga, Una segretaria quasi privata) e convinta che anche le figlie sarebbero diventate scrittrici (come in effetti è successo), Phoebe voleva che capissero fin da bimbe che tutto quello che accade nella vita, dispiaceri compresi, serve alla scrittura e nella scrittura diventa altro. Sì perché quello che un giorno è tragedia –diceva- ha in sé il potenziale per essere una storia comica il giorno dopo.

Nella sua lunga e fortunata carriera di giornalista, scrittrice, sceneggiatrice e regista, Nora Ephron, la più grande delle figlie di Phoebe, si è sempre mantenuta fedele all’insegnamento materno. Con intelligenza, gusto, ironia, leggerezza, è così riuscita a tradurre in commedia persino uno degli eventi più dolorosi della sua vita: la scoperta del tradimento del marito, il giornalista Carl Bernstein (quello del Watergate). Era il 1979 e lei era incinta del secondo figlio. La relazione fra Bernstein e Margaret Jay (moglie dell’ambasciatore inglese negli Stati Uniti) andava avanti da mesi e nonostante la promessa di lui di troncarla continuò per molti mesi ancora fino al momento in cui Nora –arrabbiata, ferita, traumatizzata– e dopo avergli gettato in faccia una torta al limone, lo piantò e chiese il divorzio.

Ma, seguace del credo Fattela Passare e dicendosi, o.k. non posso continuare a pensarci per il resto della mia vita, la Ephron trasformò quella esperienza in una storia divertente. Ci scrisse un romanzo che diventò un best seller, Affari di cuore (1983) e poi la sceneggiatura di un film (1986), diretto da Mike Nichols e interpretato da Meryl Streep e Jack Nicholson. Con i soldi guadagnati si comprò una casa. Tre anni dopo il regista Rob Reiner le propose di scrivere il film che le avrebbe cambiato la vita, Harry ti presento Sally. Diventò famosa in tutto il mondo e nel 1990 fu candidata all’Oscar per la migliore sceneggiatura. Che però non vinse. A lei, una donna che faceva ridere, la giuria preferì un uomo che faceva piangere e assegnò il premio al lacrimevole ed enfatico screenplay di Tom Schulman, L’attimo fuggente, diretto da Peter Weir.

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Harry ti presento Sally è un film che rispetta le convenzioni della commedia romantica, introducendovi però un punto di vista femminile che rovescia, ironicamente, stereotipi e convinzioni maschili. Come nella scena famosissima dell’orgasmo simulato con la quale Nora Ephron non solo smitizza l’orgasmo -come ha scritto Irene Bignardi– ma fa vedere al pubblico maschile, convinto di possedere il potere taumaturgico di rendere felici, al solo tocco, le proprie partner, che simulare è facile e cascarci ancora di più.

Ci sono due tipi di commedie romantiche –sosteneva Nora Ephron- due tradizioni: quella cristiana e quella ebraica. Nella tradizione cristiana esiste un ostacolo esterno che non permette l’unione degli innamorati. Nella tradizione ebraica, di cui Woody Allen è un magnifico esempio, l’ostacolo principale che si frappone all’happy end è rappresentato dalla nevrosi maschile. Ed è appunto questa nevrosi che Nora Ephron mette in scena attraverso il personaggio di Harry Burns (Billy Crystal) modellato su Rob Reiner che, divorziato da poco, viveva con grande disagio la sua nuova condizione di single, era incapace di gestire un rapporto di coppia, ma voleva fare del sesso. E se è vero che Henry è l’alter-ego di Rob, è altrettanto vero che con il personaggio di Sally Albright (Meg Ryan) -una donna positiva, solare e che vuole che qualsiasi cosa succeda sia sempre per il meglio- Nora Ephron ha rappresentato se stessa, o meglio, una parte di sé. L’altra sua parte – quella più ingenua, irrequieta, cedevole – si rispecchia nel personaggio dell’amica Marie ( Carrie Fisher).

Frutto della collaborazione tra la sceneggiatrice e il regista che nella stesura del testo e nella regia hanno messo in gioco i loro differenti sguardi sul mondo, Harry ti presento Sally è un film sulle differenze tra gli uomini e le donne e su quella cosa misteriosa e affascinante per tutti noi, l’amore. Ed è all’amore che Nora Ephron, diventata regista, dedica due film deliziosi, due perle della commedia sentimentale, Insonnia d’amore (1993) e C’è posta per te (1998).

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Al centro di Insonnia d’amore c’è quell’idea romantica, propria dell’adolescenza, (ma che rimane anche nell’età adulta quando dell’amore capiamo molto di più ) “che da qualche parte c’è qualcuno per me e forse non lo conoscerò mai”. A meno che il destino, il caso o la fortuna, non intervengano –come appunto accade in Insonnia d’amore– a favorire l’incontro.

Separati da tremila miglia di distanza i due protagonisti del film –lei, Annie Reed (Meg Ryan) sulla costa est a Baltimora, lui Sam Baldwin (Tom Hanks) sulla costa ovest a Seattle- ignorano l’una l’esistenza dell’altro, ma sono destinati ad incontrarsi. A dare una spinta al destino, a metterlo in moto, è il piccolo Jonah, il figlio di Sam che, nel tentativo di aiutare il padre chiuso nel rimpianto per la moglie scomparsa (è vedovo da 18 mesi) e desiderando una nuova donna per lui e una nuova mamma per sé, telefona a un programma radiofonico che Annie per caso ascolta venendo così a sapere di Sam, del suo lutto e della magia di una amore che lei –fidanzata ad un bravo, gentile e noioso collega giornalista e prossima alle nozze- non ha mai conosciuto.

Quando Nora Ephron spiegò a Meg Ryan il personaggio che doveva interpretare le disse semplicemente: “sei una repubblicana che non ha mai avuto un orgasmo”. Agenti del destino, Jonah e i personaggi femminili del film: Annie, l’amica Becky e Jessica, l’amichetta di Jonah, spingono in avanti la storia (fra viaggi in aereo andata e ritorno, lettere spedite e ricevute) fino all’inevitabile incontro in cima all’Empire State Building (come si erano promessi Cary Grant e Deborah Kerr gli innamorati di Un amore splendido più volte citato) fra una donna e un uomo fatti l’una per l’altro.

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È una cosa incredibile innamorarsi –dice Nora Ephron in un suo commento al film– così incredibile che credo vada attribuita al destino. O perlomeno io l’ho spiegata così perché mi ha cambiato la vita, come un miracolo. L’amore è magico e le sensazioni che provoca sono così grandiose che pensi: se non fossi andata in quella direzione non sarebbe successo”.

Se Annie Reed non avesse ascoltato quel programma radiofonico, se Kathleen Kelly (Meg Ryan) in C’è posta per te non fosse per caso entrata con lo pseudonimo di Commessa nella chat room dove incontra NY 152, sigla sotto cui si cela la vera identità dell’uomo del quale via etere s’innamora, ma che nella realtà è il suo acerrimo nemico: Joe Fox (Tom Hanks). L’apertura del gigantesco bookstore di Joe Fox, provoca infatti il fallimento della piccola libreria di Kathleen: Il negozio dietro l’angolo, ma grazie all’amore il fallimento si rovescia in trionfo perché alla fine Kathleen se lo sposa il suo ricco e perdutamente innamorato imprenditore. Scritto in collaborazione con la sorella Delia, C’è posta per te è il remake (trasportato nel tempo delle comunicazioni via Internet) di Scrivimi fermo posta (The shop around the corner ossia Il negozio dietro l’angolo) di Ernst Lubitsch (1940).

Nora Ephron -che aveva visto tantissime volte non solo il film di Lubitsch ma anche la versione teatrale messa in scena a Broodway nel 1963, She loves me– era rimasta affascinata dalla struttura della storia che lei definiva “divina”.

La struttura è questa: due persone si innamorano follemente l’una dell’altra per posta; si conoscono e si odiano e non hanno la minima idea di essere le persone di cui sono innamorate, poi si incontrano e lui scopre che la donna che ama è proprio la donna che odia. Con la consueta ironia e leggerezza, Nora Ephron ci racconta, nel suo remake, la spietatezza delle leggi di mercato e le nevrosi contemporanee equamente distribuite fra donne e uomini: Patricia Eden (Parker Posey) l’agitatissima e aggressiva fidanzata di Joe; e Frank Navasky (Greg Kinnear) il fidanzato di Kathleen di cui la Ephron traccia con incomparabile maestria l’inguaribile, innocente ed esilarante narcisismo.

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Kathleen Kelly è invece, come le altre protagoniste dei suoi film, una donna solare, positiva, intelligente e che non si perde d’animo. Ricordate il motto della Ephron, “Fattela Passare”? Beh, una volta persa la libreria Kathleen diventa scrittrice, rinuncia al risentimento verso Joe Fox accettandone l’amicizia (ma lui sa già che Kathleen è Commessa, la donna di cui è innamorato) fino al momento in cui anche lei scopre quello che sperava con tutta se stessa: Joe Fox è NY 152 ossia l’uomo che ama.

Verso la fine di Insonnia d’amore, la Ephron cita, per bocca di Tom Hanks e quale esempio degli aspetti pericolosi dell’amore, Attrazione fatale. Ma lei, che per raccontare di sé e della vita, aveva scelto il registro della commedia romantica, di tali aspetti non si curava. Con un gesto che ricorda quello di Jane Austen (da lei molto amata) quando in Mansfield Park scrive: “lasciamo che altre penne trattino del peccato e della desolazione”, Nora Ephron lasciava ad altri scrittori e registi il compito di trattare i lati oscuri dell’amore: le menzogne, gli equivoci, le crudeltà.

Dell’amore lei ci ha consegnato -affinché potessimo riviverlo se non nella vita almeno andando al cinema- lo splendore dell’inizio, quell’attimo incantevole in cui il volto dell’altro d’un tratto ci sorprende e ci colma di gioia. Quell’inizio che Nora Ephron, nei suoi film, rilancia all’infinito e di cui tutte noi abbiamo esperienza. Così come sappiamo che almeno una volta nella vita (ma una è poco) abbiamo finto l’orgasmo.

Ogni volta che ci siamo innamorate, quella cosa lì è accaduta. Un’esplosione di energia vitale, una rinascita, un miracolo. E diventiamo più belle.

Illusione, realtà? Magia –dice Nora Ephron. Perché l’amore è un caso, un avvenimento inaspettato e profondo. Che rimette tutto in gioco. Ed è potente come la morte. Può accadere in qualsiasi momento.

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Giuliana Giulietti, bibliotecaria in pensione, vive a Livorno e ha collaborato per diversi anni come giornalista alle pagine culturali del quotidiano “Il Tirreno”. Insieme a Mariolina Bertini, Vincenzo Farinella e Albarosa Lenzi Barontini ha pubblicato nel 2006 da Debatte Intorno a Marcel Proust. Musica, pittura, letteratura; nel 2011 Donzelli ha pubblicato il suo Proust e Monet. I più begli occhi del XX secolo.

Grazie Liala, a cura di Mariolina Bertini

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