Frances Amelia Yates, di Giuliana Giulietti. 1 di 2
A Michela Bronaldi
che tanti anni fa mi invitò a leggere L’Illuminismo dei Rosa-Croce
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Frances Amelia Yates, la regina del Rinascimento europeo
di Giuliana Giuletti
1.1 La contemplazione del passato del mondo
Perciò vorrei chiedervi di scrivere ogni genere di libri, senza esitare davanti a nessun argomento, per quanto futile o vasto vi possa sembrare/…/ spero che riusciate a entrare in possesso di una quantità di denaro sufficiente per viaggiare e per starsene con le mani in mano, per contemplare il futuro o il passato del mondo, per sognare sui libri e bighellonare agli angoli delle strade e lasciare che la mente del pensiero si immerga profondamente nella corrente/…/ Se voleste farmi contenta/…/ dovreste scrivere libri di viaggio e di avventura, opere di ricerca e di erudizione, saggi storici e biografie, e poi opere di critica, di filosofia e di scienza.
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, 1929
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Mi è venuto spontaneo associare queste parole di Virginia Woolf a Frances Amelia Yates, la grande storica del rinascimento e dell’età elisabettiana che sognava sui libri e vagabondava per le strade di Londra, profondamente immersa nei propri pensieri e nella contemplazione del passato del mondo. In una pagina di Gli ultimi drammi di Skakespeare (1975) leggiamo:
«Molti anni or sono, camminando lungo lo Strand insieme con Giordano Bruno, mentre tentavo di tradurre la Cena de le ceneri e cominciavo a percepire le dimensioni della sua grande impresa – la diffusione di una filosofia magica che eliminasse tutti i contrasti religiosi su un piano di amore e magia – mi sembrò che Shakespeare si unisse a noi, mentre ci recavamo al festino».
Nel giugno del 1977 Frances Yates fu nominata Dama dell’Impero Britannico. Un onore pubblico che accolse con entusiasmo perché le piacevano le luci della ribalta e non poteva essere altrimenti, confidò ad un amico, dato che lei discendeva da due regine del palcoscenico. Le regine cui si riferiva erano Theodosia Yates, sorella del nonno paterno e sua figlia, Nellie Stewart, cantante e attrice australiana. Attrice era stata anche la nonna di James Yates, il padre di Frances, il quale conservava nel salotto di casa una stampa che la ritraeva nelle vesti di Lady Macbeth.
James Yates, ingegnere navale, proveniva da una famiglia di interpreti shakespeariani, e questo spiega la passione di Frances per il teatro e per Shakespeare. Una passione che fin da ragazza –come testimonia il suo primo articolo English Actors in Paris during the lifetime of Shakespeare concepito e scritto durante la stesura di un Master in francese e pubblicato nel 1925– ha orientato la sua “contemplazione del passato del mondo.”
Attratta dalla storia e dalla cultura della Francia del Cinquecento e del Seicento, Yates aveva scelto come soggetto del Master i drammi sociali del Sedicesimo secolo in cui erano rappresentati gli eventi dell’epoca, i conflitti spesso sanguinosi tra protestanti e cattolici (come il massacro di San Bartolomeo e l’assassinio di re Enrico III); furono i suoi studi francesi a introdurla nel mondo della cultura italiana. La scoperta di una testimonianza redatta dall’ambasciatore francese a Londra, Michel de Castelnau de Mauvissiére, per un “certo” Giovanni Florio che era allora (1585) al suo servizio, suscitò in Frances il desiderio appassionato di saperne di più a proposito del brillante maestro da cui gli elisabettiani avevano imparato l’italiano, dell’ambasciata francese a Londra ai tempi di Elisabetta I e della gente che Florio poteva avervi incontrato.
Lavorando sull’argomento, leggendo tutto quello che riusciva a trovare nella biblioteca del Britsh Museum, Frances scoprì che fra gli ospiti dell’ambasciatore de Mauvissiére, insieme a Florio, c’era il famoso Giordano Bruno.
L’incontro con Bruno fu decisivo per la giovanissima studiosa. La sua presenza nell’ambasciata francese la portò a ricerche, prolungate nel tempo, sulla filosofia e religione nella Inghilterra influenzata da quello “stranissimo” filosofo del Rinascimento italiano. Quando la morte la colse nel settembre del 1981 a quasi 82 anni (era nata nel 1899) Yates stava ancora studiando quella “stranissima filosofia”.
Nel 1972, Frances Yates decise di mettere mano a un’autobiografia.
Ma i molti impegni –scriveva libri e recensioni, teneva conferenze e lezioni, viaggiava– la distolsero dal progetto. Prima di morire riuscì tuttavia a redigere alcune pagine sulla sua famiglia, sulla sua vita e sul suo percorso spirituale, pubblicate postume con il titolo Frammenti autobiografici. Fra le carte dell’Archivio Yates conservate al Warburg Institute (dove lavorò per quarant’anni) esistono però un diario che lei tenne dal 1916 al 1917, quaderni di appunti e di riflessioni personali e vari reperti della famiglia. Un materiale prezioso e mai consultato di cui si è servita Marjorie Jones per scrivere la prima biografia della studiosa inglese, Frances Yates and Hermetic Tradition (Frances Yates e la Tradizione Ermetica) pubblicata in traduzione italiana da CasadeiLibri Editore (Padova, 2014). Un libro che ci consente di ripercorrere la straordinaria avventura intellettuale di colei che con audacia, originalità e profondità di visione ha contribuito a rivoluzionare la storiografia del Rinascimento.
Frances Yates era convinta che la storia di ciò che si verifica non è tutta la storia, «giacché esclude dal novero le speranze che mai si materializzarono, i tentativi di evitare lo scoppio delle guerre, i vani sforzi di risolvere le differenze per mezzo di mezzi conciliatori. Simili speranze sono parte della storia quanto gli eventi che le dimostrano false».
Speranze che nella sua visione si incarnano in Giordano Bruno e in un altro grande “mago” rinascimentale, John Dee, il matematico interessato alle tecniche magico-religiose della cabala e che esercitò un forte influsso su importanti personaggi elisabettiani a cominciare dalla regina. Speranze che affondano le proprie radici in un passato ancor più remoto da cui emerge Ermete Trismegisto, creduto da alcuni un antico sacerdote egizio, a cui sono attribuiti i trattati teologici e i trattati magico-alchimistici del Corpus Hermeticum, tradotto intorno al 1460 da Marsilio Ficino su ordine di Cosimo de’ Medici.
Sono figure di speranza, di armonia e riconciliazione religiosa, Elisabetta e Federico di Boemia, i due giovani e sfortunati sovrani di cui Yates narra ne L’illuminismo dei Rosa-Croce e la medesima speranza aleggia negli ultimi drammi di Shakespeare: Cimbelino, Il racconto d’inverno, La tempesta, immersi in una atmosfera che evoca le grandi tradizioni della magia rinascimentale. Una magia intimamente connessa all’idea di un universo non più atemporale immobile e chiuso, come quello costruito dalle teologie medioevali, ma tutto vivo e infinito, fatto di nascoste corrispondenze e pervaso di simboli dove il filosofo-mago (Bruno, Dee e Prospero nella Tempesta di Shakespeare) poteva agire e operare attraverso la conoscenza astrologica, alchemica, cabalistica e in virtù del suo spirito religioso, riformatore, pacificatore.
Per scrivere i suoi libri e raccontare l’Europa del Cinquecento e del Seicento, Frances Yates faceva un largo uso delle immagini che utilizzava come documenti storici: feste di corte, processioni religiose, cortei nuziali, giostre e tornei; ritratti allegorici di Regine e Imperatori; arazzi, archi trionfali e simboli alchemici. Intrecciando scienza, religione, magia, pittura, letteratura, musica, lei ricostruiva grandi ambienti culturali, restituiva legami e incontri.
Ogni suo libro –ebbe a dire l’amico e storico Hugh Trevor-Roper– è una ri-creazione della mente del passato.
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1.2. L’outsider
«Voglio scrivere qualcosa di grande e di splendido qualcosa che mi renderà famosa. /…/ Mio fratello scriveva poesie, mia sorella scrive romanzi, l’altra mia sorella dipinge e io devo fare e farò qualcosa. Non sono un granché per la pittura, e neppure per la musica perciò, non mi resta che scrivere. E scriverò».
Con queste parole Frances Yates inaugura il 24 aprile 1916 il suo diario. C’è la guerra, l’adorato fratello Jimmy è morto sul campo di battaglia, la famiglia Yates è devastata dal dolore. In seguito racconterà : «La guerra del 15-18 distrusse la mia famiglia. Da adolescente ho vissuto in mezzo alle rovine». Ma né la guerra né il lutto possono impedire, alla ragazza di sedici anni che era allora, di gioire della vita, di adorare i libri e leggere Shakespeare, Rossetti, Keats, Bacone, Dante, Dickens, Hugo. E di progettare il proprio futuro.
A causa dei continui trasferimenti del padre da un cantiere navale all’altro (Portsmouth, Chatham, Glasgow), Frances Yates non ebbe una regolare istruzione scolastica. Fu educata in casa dalla madre e dalle sorelle maggiori: Hannah, una delle prime laureate del Girton College, e Ruby, che si era diplomata alla School of Arts di Glasgow. Solo a nove anni entrò per la prima volta in una scuola, la Laurel Bank School di Glasgow e il suo corso di studi fu spesso interrotto dai viaggi e dai traslochi della famiglia. Nel maggio del 1916 Hannah incoraggiò Frances a studiare per l’ammissione a Oxford.
«Questa idea mi ha molto emozionata- confida Frances al diario. Mi piace studiare e il pensiero della vita del college mi attira moltissimo. Per di più penso che andarmene da casa per me sarebbe un bene per più di un motivo. Mamma ha una volontà fortissima e ho paura che se non me ne vado via e colgo l’opportunità di badare a me stessa, diventerò troppo dipendente».
Ma Frances non fu ammessa a Oxford e non lasciò mai la casa dei genitori.
Alla fine della guerra, Hannah e Ruby andarono a insegnare e a vivere lontano dalla famiglia: Hannah allo Ware College nello Hertfordshire; Ruby in Africa dove vi trascorse più di vent’anni. Diversamente da altre donne letterate dell’epoca (Vera Brittain, Dorothy Sayers), Frances non se ne andò a Londra in cerca di amore e di fortuna. Continuò a vivere con la madre e con il padre; lavorando per suo proprio conto, con l’aiuto di un corso per corrispondenza e frequentando per due soli giorni alla settimana, come privatista, l’University College di Londra, ottenne nel 1924 una laurea in francese. Nel 1925 gli Yates si trasferirono a Claygate in una casa in mezzo agli alberi e ai campi, la New House, dove Frances abiterà fino alla fine dei suoi giorni e dove scrisse tutti i suoi libri.
Negli anni in cui Frances Yates tentava l’ammissione a Oxford e si laureava come esterna allo University College di Londra, il numero delle ragazze cui era concesso di ricevere un’istruzione universitaria era rigidamente limitato. Una situazione che non migliorò nel decennio successivo. Secondo le statistiche dell’Almanacco Whitaker (citato da Virginia Woolf in Le Tre ghinee), nel 1934 le studentesse che frequentavano Cambridge non dovevano superare un totale di cinquecento allieve, mentre per gli studenti maschi (5328 iscritti) non vi erano limitazioni di sorta.
Non so se Yates abbia mai riflettuto sul difficile accesso delle donne all’Università, sulla povertà dei colleges femminili o sulle discriminazioni che le studentesse e le insegnanti, tenute ai margini della vita universitaria, subivano a Newnham e Girton dove sua sorella Hannah si era laureata. Non era femminista e sui diritti delle donne (voto, istruzione, lavoro) non ha mai speso una parola. Di certo però considerava una fortuna, per la sua libertà di studiosa, essere sfuggita all’impronta dell’ambiente accademico.
Solo per il Master in francese fu studentessa a tempo pieno e due professori, Brandin ed Eccles, colpiti dalla sua viva intelligenza e dal taglio originale dei suoi studi si occuparono di lei, le scrissero ottime referenze. Ma invano.
Accademicamente parlando, Frances era isolata. Nessuna borsa di studio, nessuna proposta di lavoro. Doveva perciò pagare di tasca sua i viaggi da Claygate a Londra, l’iscrizione alla London Library e le varie spese relative ai lavori che svolgeva nelle biblioteche londinesi e al Public Record Office.
In un passo di Frammenti autobiografici Frances scrive:
«Data la serie di curiose circostanze grazie o a causa delle quali persi il treno della carriera quando ero più giovane, ero sfuggita a qualsiasi tipo di formazione tradizionale, non avevo alcun vincolo con il sistema scolastico ed ero libera di seguire qualsiasi filone di ricerca mi si presentasse davanti. Questo “essere sempre al di fuori” mi procurò un’inestimabile libertà, ma volle anche dire che per molti anni restai diffidente e insicura della mia posizione, poiché non ne avevo alcuna fino a quando Florio mi condusse a Bruno, e Bruno al Warburg Institute»
È straordinario come Yates sia stata capace di rovesciare uno svantaggio, la sua tutt’altro che ortodossa formazione intellettuale, in una occasione di libertà. Era orgogliosa di essere ciò che era: una outsider, una ragazza che si era inoltrata nel campo della ricerca storica a modo suo, con fiera indipendenza, grazie anche alle relazioni di amicizia e di scambio con altre studiose come lei libere e anticonformiste.
Frances Yates –osserva la sua biografa– «si inserisce a pieno titolo in una cospicua tradizione di donne che raccontarono il Rinascimento in maniera molto dotta e creativa».
Isa Blagden (1818-1873); Julia Cartwright Ady (1851-1924); Violet Paget/Vernon Lee (1856-1935); Clara Longworth, Comtesse de Chambrun (1873-1955); Dorothea Waley (Cohen) Singer (1882-1964) sono solo alcune del nutrito numero di storiche indipendenti, contemporanee della Yates, che facevano ricerche e scrivevano in solitudine, fuori dalle costrizioni dell’istruzione formale e delle istituzioni accademiche dalle quali in genere erano escluse.