Fiducia nella letteratura. Einaudi letteratura, il programma.
Nei primi volumi della collana “Einaudi Letteratura”, l’Einaudi inserì un piccolo pieghevole, 17,5 x 29,5 cm., piegato in tre; la prima faccia riprende la grafica delle copertine, che è tutta giocata su elementi orizzontali, molto cari a Munari in quegli anni (sono presenti per esempio nella NUE, Nuova Universale Einaudi, nella Centopagine, nel Menabò, la rivista di Calvino e Vittorini): su fondo bianco (sono gli anni in cui quello che verrà chiamato “il bianco Einaudi” si consolida), in alto, una banda grigia, laddove nei volumi si indica il nome della collana e il numero d’uscita del volume, qui si annuncia “una nuova collana”, più sotto, chiuso fra due greche, laddove nei volumi si trova il titolo, il nome della collana. Questa scelta è indicativa dell’importanza che nel contesto editoriale di quegli anni (Einaudi Letteratura accoglie 79 titoli, fra il 1969 e il 1984) si dava all’idea di collana. Una collana editoriale, allora, era un gesto programmatico. Non a caso, nelle tre facce interne del pieghevole, troviamo un testo di presentazione:
Fiducia nella letteratura
Abbiamo parlato troppo presto di crisi o di «morte» della letteratura. Più che di una penuria di scrittori e di opere, si è trattato per molti di noi di una crisi di fiducia nella letteratura, cui non ci accorgevamo di attribuire compiti troppo limitati, confini troppo angusti. Infastiditi da un lato da una produzione di smaccato intrattenimento, impacciati dall’altro dinanzi alle sofistiche alchimie di certe opere sperimentali, non ci siamo resi conto che l’orizzonte della letteratura era assai più ampio: che scrivere era un’operazione più libera, più sconvolgente e totale di quanto non ce l’avesse fatto intravedere la stanca retorica dei generi; e che in altri tempi – ai primi decenni del Novecento, ad esempio, in Francia, in Germania, in Riussia, o, in anni molto prossimi a questi, in America – letteratura è stata la vita stessa, e la vita tutta si è tradotta, come per un grande, irresistibile impulso, nell’opera letteraria.
Si poteva concepire una collana editoriale, che, evitando la frammentarietà e la dispersione, offrisse il senso, variegato e tumultuante, della esperienza di quelle lontane avanguardie e al tempo stesso delle giovani generazioni? Una collezione che affiancasse a romanzi e racconti, a poesie, a opere teatrali, a prose autobiografiche, anche altre forme espressive – il disegno, la fotografia, la ricerca visiva – nei casi in cui queste forme traducessero gli stessi moventi o avessero origine da una stessa «aura» creativa? È quanto abbiamo cercato di fare con «Einaudi Letteratura».
Il titolo stesso della nuova collezione, volutamente semplice, ha un lontano precedente in «Littèrature», la rivista dei surrealisti che sollecitò una creatività libera in ogni direzione, non condizionata da generi e da regole retoriche.
In un momento in cui la letteratura viene ridotta a un prodotto commerciale, o contestata perché, cadendo i miti dell’«impegno», la si accusa di colpevole evasività, una collana come la nostra si propone un duplice scopo: documentare, per quanto è possibile da angolature meno consuete, l’esperienza letteraria del Novecento; e insieme, attraverso un atto di fiducia nella letteratura, collaborare a tenere aperto un varco all’immaginazione, questo ingrediente così necessario soprattutto a chi crede di potere o di dovere moralisticamente privarsene.
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