Colette / LE ORE LUNGHE. Del Vecchio 2013. (Recensione di Federico Sabatini)
Le ore lunghe. 1914 – 1917
(Les Heures longues. 1914 -1917)
di Colette
traduzione e postfazione di Angelo Molica Franco
Design, illustrazioni, logo di Maurizio Ceccato | IFIX
cartaceo: brossura con alette, 226 pag. [con due pag. ill. b/n fuori testo ]: 14€
Del Vecchio editore -formelunghe 5, Roma 2014
Copyright © Librairie Arthème Fayard, 1917
Copyright © Del Vecchio editore 2013
Colette. A natural-born writer
di Federico Sabatini
Impazienza – mobilitazione – briciole – popolo – padre – roma – osteria – caffè concerto – vacanze – focaccine – punto margherita…
Sono queste alcune delle parole impresse in nero, alla rinfusa, sul verde del retro della copertina de Le lunghe ore, il libro di Colette pubblicato da Del Vecchio Editore nella prima significativa traduzione italiana di Angelo Molica Franco. E a leggere queste parole non si immaginerebbe certo che Le lunghe ore è un libro che parla essenzialmente di guerra e di tutte quelle atrocità inverosimili che, all’interno della guerra, sembrano moltiplicarsi all’infinito. Ma proprio in questo apparente paradosso risiede la grandezza della poliedrica scrittrice francese, ossia nella capacità di tradurre in parole l’ineffabile esperienza del conflitto, soffermandosi però su quell’incanto che, sorprendentemente, vi si può ancora scovare. Un incanto rintracciabile nei minimi dettagli, negli elementi più insignificanti del quotidiano che solo poche persone e pochi artisti riescono a notare anche in certi momenti di acuto dramma. Colette è infatti una “natural-born writer”, una “scrittrice nata”, così come affermava Virginia Woolf, aggiungendo di sentirsi talmente “abbagliata” dalla sua abilità (“impensabile in Inghilterra”) da diventare, ironicamente, “verde di invidia”.
Il libro consiste in una serie di sketch che Colette scrisse per alcuni giornali durante la sua esperienza al fronte, dove aveva accompagnato il marito nel 1914. Nel loro insieme, questi quadretti narrativi, talvolta pittoreschi, talvolta crudi, sentimentali, struggenti o ironici, compongono un mosaico davvero inestimabile che non solo ci insegna a guardare e a riguardare con occhi diversi la Storia, ma ci mostra anche come l’animo umano possa contare su infinite risorse, proprio aggrappandosi a quei dettagli che sono per la nostra vita “dolorosi e necessari, come quelli di un sogno” e che Colette afferma di voler “insieme abbandonare e proseguire, avidamente”. Ed è “avidamente” che si leggono i sogni e le realtà in questo libro: si tratta di pagine estremamente preziose, così come preziose sono le piccole cose che le riempiono e che, a loro volta, riempiono amorevolmente le ore in cui le varie storie si intersecano.
Il tempo è infatti il vero protagonista che sembra far da collante alle varie narrazioni: “…e subito svelano, amputati spavaldi o feriti malinconici, che quello è un luogo in cui tutti avvertono il caro prezzo dei minuti e delle ore, e l’austera, inesorabile lentezza della clessidra e della vita”.
La guerra è qualcosa di inverosimile e di illogico che, nel suo essere totalizzante, cambia la percezione degli uomini, il loro modo di comunicare e di provare sentimenti, il loro modo di vedere e di interpretare il reale. Lo spazio della vita non è più lo stesso ma viene costantemente deformato e annichilito dalla forza bruta e irrazionale, e il tempo sembra pure alterato, rallentato o velocizzato fino alla vertigine. In questa irrealtà temporale, la coscienza umana è talvolta sospesa, talvolta risucchiata in una sorta di cataclisma irruento. Ma quando il tempo non è più percepito come lineare, avviene qualcosa nella coscienza, qualcosa che si traduce nell’acuirsi delle sensazioni e delle percezioni, qualcosa di “epifanico” o di riconducibile ai “momenti dell’essere” di Virginia Woolf: quei momenti di eccesso di realtà che permettono di mettere a fuoco ciò che in una vita “normale” è spesso troppo annebbiato. Ed è proprio questo il successo di Colette, quello cioè di farci comprendere, senza luoghi comuni, che la vita continua nonostante tutto e che, nonostante il tempo sia dilatato solo dall’orrore e dalla disperazione, in tale dilatazione può sempre nascondersi della poesia. La poesia che troviamo in un vecchio soldato che sa fare l’uncinetto, in un sergente che vive in simbiosi con la sua cagnolina, in una donna che scrive al marito al fronte e riceve da lui richieste sulla sua vita quotidiana più becera (“piccoli e preziosi pezzi di cuore lasciati in patria: la camera coniugale, la lampada, il comò panciuto e il tappeto macchiato”). Sono i dettagli del quotidiano, i quali però assumono un carattere di ineluttabile universalità: sono proprio loro infatti a scandire le lunghe ore irreali della guerra e a renderle “reali”, o finanche “più che reali” (“ogni ora è una festa per i sensi”) attraverso il filtro poetico che le ricrea sulla pagina: “Lo scorrere della vita ci appare rallentato, diradato, e sembra quasi colare senza increspature da un bordo all’altro di queste lunghe giornate”.
La scrittura di Colette è anche in questo libro un misto di leggerezza e di esattezza, i due ideali calviniani potenzialmente ritraducibili in questo caso in forza e delicatezza, i quali si compenetrano continuamente grazie a uno stile ricchissimo ed elaborato, e insieme miracolosamente semplice. Così viene infatti descritta anche la bellezza dell’Italia (Venezia, Como, Roma e un’ indimenticabile scena di gatti affaccendati nell’irrealtà delle torride notti romane), una bellezza che le fa raggiungere picchi di scrittura struggente e quasi “elegiaca”, come giustamente scrive il traduttore nella postfazione del libro.
Non solo una “regina della leggerezza” dunque, come affermava già Julia Kristeva, ma un autentico “genio femminile” innovativo, il cui linguaggio non si limita a descrivere oggetti e situazioni, animali, paesaggi o visi, ma sublima e ricrea i legami più importanti dell’essere con la vita che lo percorre. Anche quando l’essere sembra solo percorso dalla morte.
(Chi ha pagato il libro? La copia su cui Sabatini ha condotto la sua recensione gli è stata regalata brevi manu dall’editore, Pietro Del Vecchio. La copia che è stata fotografata da FN è stata aquistata da esso medesimo alla Libreria Feltinelli (con 10% di sconto perché un po’ acciaccata la quarta) anche se pure a lui Del Vecchio editore gli aveva inviato una copia, purtroppo smarrita al momento, ma che naturalmente verrà ritrovata domani)