biondo
A un certo punto, mi tagliai i capelli. Non ero mai entrato da un parrucchiere, andavo dal barbiere, oppure me li tagliava qualche amica volenterosa. Un giorno, uscii di casa deciso a tagliarli, a toglierli, a spazzarli via, volevo, come sempre in questi casi, essere un altro. Andai a piedi sino a un parrucchiere che avevo visto ed eletto perfetto per me. Ci girai intorno, mi vergognavo, avevo una specie di paura. Un parrucchiere era da ragazze, da signore, da donne: da gay. Tutto agitato dissi come li volevo: cortissimi. Tre gentili signorine fra il comprensivo e il divertito (avevo 15 anni, ne dimostravo di meno, e fra occhi grandi e un po’ tristi, labbra pronunciate, e la massa di riccioli chiari, ero molto guardato; inoltre dovevo avere un’aria davvero impaurita) mi indirizzarono da un altro parrucchiere: da uomo. Fu molto divertente, mi furono tutti intorno a cercare di convincermi di non farlo, maio volevo, così Mimmo (così si chiamava il capo) decise: -li faremo alla Grace Jones-. Erano gli anni ’80. Uscii con un taglio perfetto, e, perché tagliare era sembrato poco, biondo. Fu l’inizio di un accanimento un po’ crudele sui miei capelli, li ebbi ancora lunghi ma soprattutto corti, e, soprattutto, colorati: blu, rosa, bianchi, neri, platinati. Per questo, mi dico, ora non ne ho più. Ma mi sono divertito.